Scopriamo il pericoloso fascino dei Barabaig, tribù di etnia Datoga, allevatori delle pianure.
Uno degli studi più interessanti su questa affascinante e poco nota tribù è quello di Charles Lane, un australiano che negli anni ’80 ha vissuto due anni in una famiglia Barabaig, diventando “uno di loro”, per quanto possibile a un uomo bianco! Charles Lane ha lottato insieme ai Barabaig per ottenere che non fossero privati delle loro terre a favore dello sviluppo dell’agricoltura. I diritti dei Barabaig sono stati oggetto di conflitto anche cruento, mettendo alla luce ancora una volta come sia difficile coniugare la nostra idea di civiltà con i diritti delle popolazioni tribali. Le parole di Charles descrivono un popolo fiero e feroce, considerato un nemico pericoloso anche dai coraggiosi Masai, in cui uomini e donne sono dediti a una dura vita di lavoro, con ruoli ben definiti e una struttura sociale organizzata.
Le origini
I Barabaig (letteralmente “uomini che battono il bastone”) sono pastori appartenenti alla più vasta etnia dei Datoga, migrati dalla Valle del Nilo più di mille anni fa. Sono presenti in Tanzania, ai piedi della Great Rift Valley, da almeno 150 anni. Sono circa trentamila i soggetti che ancora vivono secondo la tradizione, prevalentemente nelle pianure ai piedi del monte Hanang, ma i villaggi più accessibili ai turisti si trovano nei pressi di Lake Eyasi, vicino agli Hadzabe.
La cultura e l’organizzazione sociale
I Barabaig, all’apparenza, non hanno uno stile di vita molto diverso da quello dei Masai, anche se, a differenza di questi ultimi, sono anche fabbri e sanno lavorare il ferro e l’ottone. I Barabaig hanno una struttura sociale più semplice e libera, non hanno l’educazione guerriera dei Masai ma hanno una tradizione di ferocia e un passato in cui non disdegnavano il cannibalismo. La pastorizia è al centro della vita dei Barabaig, come per i Masai: dal cibo al vestiario, dagli utensili al materiale di costruzione, il bestiame è tutto quello di cui hanno bisogno, e quel poco che dal bestiame non si ottiene, come le medicine “moderne”, lo ottengono con il baratto. I Datoga conoscono i numeri e contano il bestiame non a singolo capo ma “a coppie”, con un sistema non decimale ma “in base 20”. L’agricoltura non appartiene alla tradizione di questo popolo originariamente nomade, ad eccezione di piccoli orti coltivati a ridosso delle capanne.
I Barabaig, ci racconta Charles Lane, sono molto diversi da noi, ma vivono gli stessi nostri sentimenti, hanno relazioni familiari affettuose e si prendono cura l’uno dell’altro con spirito di abnegazione. Unici tra le popolazioni tribali dell’Africa orientale, seppelliscono i loro morti, onorando con un lungo rito gli uomini (e talvolta anche le donne) più saggi.
L’arte della seduzione contraddistingue i rituali tribali: le ragazze, agili e dal fisico statuario, adornate di bracciali e collari di ottone, belle ed eleganti nelle loro vesti di pelli conciate e perline colorate, si cimentano in balli sensuali per conquistare i killer più forti. Già, perché gli uomini Barabaig dimostrano alla comunità la loro forza uccidendo un animale feroce, che, in ordine crescente di valore, può essere un leopardo, un elefante, un leone o… un uomo di una tribù nemica!
La condizione femminile
I Barabaig hanno una netta distinzione di compiti tra uomini e donne. Come per i Masai, sono le donne a occuparsi delle capanne, del cibo e della cura dei bambini. La condizione della donna è dura e inaccettabile per la nostra cultura, anche se Charles Lane sottolinea, seppur da un punto di vista che è pur sempre maschile, che le donne sono considerate e rispettate; se un uomo offende una donna, è un tribunale femminile a giudicarlo: la sentenza può arrivare sino alla “maledizione” del colpevole, che ne comporta l’allontanamento e la condanna a una vita senza dimora né famiglia.
I Barabaig sono poligami e i matrimoni sono combinati dai genitori, dopo essersi accordati sul “prezzo” della sposa. Prima del matrimonio maschi e femmine si devono sottoporre al terribile rito di iniziazione alla vita adulta, che prevede la mutilazione genitale, praticata dalle donne sulle ragazze e dagli uomini sui ragazzi. Non abbiamo parole per descrivere le motivazioni di una pratica tanto inaccettabile, per cui prendiamo a prestito quelle di Charles Lane:
L’esistenza dei Barabaig è stata così precaria nel passato, e rimane tale, che è assolutamente vitale per la sopravvivenza che ciascuno aderisca alle prescrizioni e alle responsabilità del proprio ruolo. Altrimenti, la comunità è messa a rischio. Un modo inequivocabile per assicurarsi che una ragazza lo comprenda è mutilarla, così che non dimentichi mai il giorno del suo passaggio a donna, e sia in grado di sposarsi, prendersi cura dei bambini, assumersi la responsabilità di contribuire al sostentamento della famiglia, e garantire la conservazione della cultura Barabaig. Mi auguro che questa pratica potrà cessare quando i Barabaig godranno di una maggiore sicurezza, e le donne si opporranno alla mutilazione quando godranno dei benefici di un’educazione moderna. Molte già adesso si oppongono a questa pratica e altre la combattono. Quando la consuetudine cesserà, sono convinto che gli uomini Barabaig l’accetteranno volentieri.
liberamente tradotto da Barabaig – Life, Love and Death on Tanzania’s Hanang Plains, Charles Lane, River Books, pag.151
Tutto il mondo tribale porta con sé, insieme al fascino di una cultura che possiamo definire “originaria”, l’orrore di pratiche incomprensibili e giustamente riprovevoli per la nostra consapevolezza e cultura; mediare è impossibile, aiutare invece si può e si deve: visitando le tribù, noi diamo il nostro contributo economico alla loro sopravvivenza, e sostenendo l’associazione della coraggiosa Rhobi Samwelly Hope for girls and women contribuiamo all’attività e alla lotta per contrastare le mutilazioni e contenerne le conseguenze.
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