C’è un sito, nella amata terra di Tanzania, che meglio di ogni altro luogo al mondo “diventa narrante” rispetto alla storia evolutiva dell’uomo: è il sito della gola di Olduvai, nella Ngorongoro Conservation Area, al confine con le savane sud-orientali del Serengeti. Qui la profonda spaccatura della Rift Valley africana, disseminata di vulcani e crateri, ha creato stratificazioni ben visibili di ere geologiche differenti, che ci hanno restituito preziosi reperti degli antenati della specie umana.

Tutto ha inizio nei primi anni del secolo scorso, quando nel 1911 uno studioso di insetti tedesco (la Tanzania era colonia tedesca appartenente ai domini dell’Ostafrika), Wilhelm Kattwinkel, inviato in queste terre del Serengeti sud-orientale per fare indagini sulla malattia del sonno, incappa casualmente in parecchi resti fossili di non precisata provenienza. Toccherà qualche anno dopo ad un’altra spedizione, guidata dal geologo tedesco Hans Reck, riconoscere che alcuni di questi resti fossili appartengono non a specie animali ma alla specie umana. Sarà lo stesso Reck, poco prima dello scoppio della Prima guerra mondiale, a presentare alla stampa a Berlino la sua eccezionale scoperta: lo scheletro praticamente completo di un uomo, chiamato OH1, che innescherà infiniti dibattiti e prese di posizione degli studiosi del tempo relativamente alla sua classificazione e datazione. Infatti questo stupefacente reperto viene scoperto in un livello di stratificazione che porterebbe a ritroso nel tempo l’orologio della storia, o meglio della preistoria. Ma la priorità della guerra interrompe bruscamente gli scontri accademici. Il filo della storia riprende negli anni Trenta del secolo scorso con l’entrata sul palcoscenico di un uomo e studioso eccezionale che dedicherà la sua vita alla paleoantropologia e alle ricerche in questo sito: Louis Leakey, nato in Kenya e studioso di archeologia ed antropologia dell’Università di Cambridge. Deciso e accanito assertore della teoria evoluzionista darwiniana e assolutamente convinto, e a ragione, che la culla dell’umanità sia l’Africa orientale, inizia assieme alla prima moglie e poi alla seconda moglie Mary  campagne di scavi in questa meravigliosa gola della Rift Valley. I primi anni non regalano grandi soddisfazioni ai ricercatori, se non manufatti in pietra molto primitivi.

Nel 1959 però Mary Leakey sarà la protagonista di una delle scoperte più incredibili della storia della evoluzione umana. E’ il 17 luglio e, mentre il marito si trova a letto con la febbre malarica, esce sola nella gola per continuare gli scavi intrapresi. Scopre un teschio fossile che sarà denominato OH5, appartenente ad un ominide vissuto in questa terra circa 1.8 milioni di anni fa, classificato oggi come Paranthropus Boisei, specie di ominide del genere Australopithecus, vissuto tra 2,6 e 1,2 milioni di anni fa nell’Africa orientale, durante il Pliocene e il Pleistocene. Il reperto OH5 è oggi conservato al museo di Dar es Salaam. Sarà per alcuni anni il fossile di ominide più antico mai scoperto, finché nel 1974 alcuni scavi in Etiopia porteranno alla ribalta della cronaca “Lucy”, l’australopiteco più famoso per il suo contributo alla ricostruzione dell’evoluzione della specie umana.

Ma le scoperte dei Lakey non si fermano. Nel 1960 viene scoperto un nuovo fossile (OH27) o meglio una mandibola di un cranio appartenente a un’altra specie, questa volta di uomo, Homo habilis. Ed è questo nuovo ritrovamento che consentirà agli studiosi di riconoscere in questa specie, coeva all’australopiteco Paranthropus, quella in grado di produrre ed utilizzare semplici manufatti in pietra. La gola di Olduvai diventa così il punto a cui tutti guardano per indagare il passato profondo dell’uomo.

Oggi questi splendidi luoghi, così significativi per gli scienziati, sono visitabili dai turisti, che vi si recano quasi in pellegrinaggio, a onorare uno dei luoghi in cui è nata la specie umana. Olduvai Gorge (il cui nome deriva da Oldupai, il nome masai della pianta che ne caratterizza il paesaggio; Olduvai è una “storpiatura” del nome originale), con il suo panorama e il suo piccolo museo ricco di reperti, è una meta imperdibile per vivere l’emozione di vedere con i propri occhi quanto la scienza paleoantropologica ha scoperto della nostra storia ancestrale.

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